Economia digitale, ecologia mentale

Economia digitale, ecologia mentale

di Simone Bedetti (editore di Area51 Publishing)

Forse l’Età del Fuoco si sta spegnendo.
In realtà, i segnali sono alquanto contraddittori: ogni giorno si producono milioni di barili di petrolio e ogni giorno tutti vengono bruciati; il petrolio resta la materia prima che determina il benessere o malessere economico, la salute finanziaria, l’equilibrio politico globale. Noi possiamo, nel nostro piccolo, cercare di bruciare meno energia, di vivere, come si dice, in modo ecologico; il problema è però che il mondo (o perlomeno un mondo) è strutturato secondo il modello che potremmo chiamare piroforico, che per produrre energia e sviluppo (economici e finanziari) necessita di bruciare una quantità sempre maggiore di risorse.
 

Il modello della “vecchia” economia

Proviamo a tracciare un breve profilo di questo modello “piroforico”, quello della “vecchia economia”, o dell’economia petrolifera.
Possiamo innanzitutto osservare come il modello piroforico si basi sull’uniformità e come il simbolo dell’uniformità sia l’azienda. Lo spazio-tempo dell’azienda, infatti, scandisce i ritmi di vita di ogni individuo, regolandoli sulla base delle proprie esigenze e inglobandoli in un sistema uniforme. È il tempo dello spazio-ingorgo: ore 7.30/8.00 sveglia, ore 8.00/8.30 in strada sulla propria auto (ingorgo) per raggiungere il posto di lavoro; ore 17.30/18.00 di nuovo in strada sulla propria auto (ingorgo) per ritornare a casa; poi, quello che rimane, è il tempo libero.
Orari uniformi, stili di vita uniformi, destini uniformi: lo spazio-tempo dell’azienda scocca i rintocchi dell’alienazione, dell’angosciosa routine. Ma non solo: tende a deresponsabilizzare. L’azienda (pubblica e privata) si nutre di burocrazie, livelli, gerarchie, norme e procedure, radure salvifiche dove potersi sgravare delle proprie responsabilità. È il prezzo da pagare per ottenere una vita ben organizzata e sicura. Patto faustiano quanto mai adatto ai nostri tempi: denaro e tranquillità sociale in cambio dell’anima.
Qualche effetto collaterale inevitabile ma accettabile: frustrazione, senso di inutilità, angoscia.
Lo spazio-tempo dell’azienda regola, dunque, una massa indistinta di individui su ritmi meccanici, prevedibili e pianificabili, e tende a bruciare le loro energie (fisiche, mentali e spirituali). Tende a scartare le differenze per concentrarsi invece sui numeri, sulla quantità; ed è proprio questa la seconda caratteristica del modello che abbiamo denominato piroforico.
Questo modello concepisce infatti il mondo come una risorsa rapidamente deteriorabile ma potenzialmente illimitata, e il sistema economico conseguente si basa sull’avverbio comparativo più: più produzione, più consumo, più utili, più mercato.

Conseguenze del modello

Per guadagnare, la “vecchia economia” ha bisogno di espandersi. Il mercato deve sempre allargarsi. Un’auto per ogni famiglia deve diventare in un anno due auto per ogni famiglia e in cinque anni quattro auto per ogni famiglia; dieci milioni di auto in Cina devono diventare in due anni cento milioni di auto in Cina. Il problema della deforestazione è il medesimo: si deforesta per creare spazi adatti all’allevamento, ma l’intensità dell’allevamento è tale che in poco tempo il suolo diventa arido e quindi è necessario disboscare nuove zone di foresta. Per guadagnare, la “vecchia economia” deve bruciare, consumare le risorse in maniera esponenziale.
Il guaio è che le risorse non sono illimitate e che sempre meno possono sostenere la pressione pirotropica (che tende cioè alla combustione) dell’economia petrolifera.
Il risultato è disastroso, come tutti sappiamo: il surriscaldamento del pianeta sta progredendo in maniera irreversibile e sta crescendo la presenza dell’anidride carbonica nell’aria e il conseguente effetto serra. Ciò significa, secondo studi recenti, un aumento previsto per questo secolo di ben due gradi della temperatura globale. Se vi sembra poco, pensate che la differenza tra l’età glaciale e quella interglaciale, la attuale, è “solo” di quattro gradi. Le conseguenze inevitabili sono la tropicalizzazione del clima, l’aumento dell’instabilità meteorologica, degli eccessi climatici e della desertificazione.

Il modello dell’economia digitale

L’economia digitale può stabilire regole nuove.
Può stabilire regole nuove perché offre un modello economico-finanziario alternativo a quello piroforico. Creando risorse immateriali, tende a risparmiare quelle fisiche; espandendosi non in senso spaziale, fisico, ma in senso informazionale, virtuale, non ha bisogno di consumare risorse deteriorabili, ma dispone di risorse – aleatorie – potenzialmente infinite. L’Età del Fuoco (la “vecchia economia”) brucia, L’Età dell’Aria (l’economia digitale) spegne.
Dileguandosi gli ultimi fuochi della hybris (arroganza) piroforica, si dissolvono anche i suoi totem, come l’azienda. L’uniformità dello spazio-tempo azienda diventa la differenziazione dello spazio-tempo riconquistato.
Spieghiamoci meglio, partendo da un concetto contraddittorio, quello di flessibilità. La flessibilità viene interpretata come instabilità, pericolo, fragilità. Ma questo modo di ragionare fonda i suoi presupposti sul modello faustiano dell’azienda, che scambiava l’anima con la tranquillità di una vita ordinata. (In questo errore cadono sia i sindacati che gli imprenditori.)
La flessibilità invece non è, o perlomeno non è solo, instabilità, è anche e soprattutto opportunità, non è solo perdita, ma messa in gioco. Se interpretiamo bene il significato dell’economia digitale (disinteressandoci delle strumentalizzazioni), notiamo come essa proponga un modello fondato sulla variazione, nel senso che ogni variazione, cioè ogni scelta individuale, tende a cambiare l’intera struttura del sistema. La “vecchia economia” presuppone un sistema – meccanico – semplice, l’economia digitale un sistema – organico – complesso. E imprevedibile.
In questo senso la flessibilità non è vissuta come una privazione, ma come un’acquisizione, non come una perdita, ma come un guadagno.

Il tempo della qualità

Questo avviene perché l’economia digitale (e per economia digitale non intendiamo un sistema economico-finanziario che varia di grado rispetto al modello precedente, come comunemente viene interpretato, bensì come un modello economico-finanziario che varia di natura rispetto al modello precedente) ci permette di liberare il nostro tempo. Il tempo del nostro lavoro, della nostra vita, viene liberato dal tempo indifferenziato e uniforme del tempo-azienda, dal sistema meccanico di massa. In questo senso, il modello della Rete non è soltanto una decentralizzazione spaziale, ma anche, e soprattutto, temporale.
Un altro concetto negativo tende a screditare, da parte del senso comune, la rivoluzione del nuovo modello. Quello della velocità. Ah, ci dicono gli entusiasti, la velocità tecnologica permette di costringere il tempo in ritmi serrati, di dimezzare la forza lavoro e di moltiplicare produzione e produttività. Ah, ci dicono i catastrofisti, la velocità costringe la vita a ritmi disumani, ancora più alienanti del passato.
Ma la velocità, in quanto velocità, non è un fatto negativo. La velocità può essere utilizzata per liberarci dal tempo del lavoro. O per ridistribuire il tempo del lavoro secondo le nostre esigenze. Se la velocità è messa al servizio del tempo-azienda, allora è catastrofica (ma ancora una volta chi ragiona così snatura e strumentalizza il significato dell’economia digitale). Ma se è messa al servizio del proprio tempo di lavoro, è una risorsa preziosissima.
La velocità della Rete ci permette per esempio di ridurre il tempo del trasporto. Con la tecnologia digitale possiamo metterci in contatto con città e persone dall’altra parte del mondo (o del paese) senza essere costretti a muoverci. E tutto questo è tempo liberato, una risorsa straordinariamente preziosa, perché può essere riutilizzato per la nostra vita. Recuperando, grazie alla flessibilità e alla velocità, il tempo del lavoro, tornando a esserne responsabili, riorganizzando il proprio tempo, si può iniziare a migliorare la qualità della propria vita.
Anche termini come “far fruttare” o “ottimizzare” il proprio tempo non devono essere intesi in senso negativo. Al contrario: ottimizzare il nostro tempo, farlo fruttare al meglio, ci permette di liberarci dal tempo-prigione dell’azienda, di organizzare il nostro lavoro in modo indipendente, liberandoci dall’alienante meccanismo lavoro/tempo libero, traducendolo in tempo liberato.
Il tempo liberato non ci fa ragionare nel senso del più, ma nel senso del meglio. Il tempo dell’economia digitale è il tempo della qualità. Il mercato in questo caso non si espande ciecamente, ma migliora.

Una nuova ecologia della mente

Il recupero del nostro tempo diventa anche il recupero del nostro spazio, privato e pubblico: ci permette di recuperare lo spazio della nostra città, per esempio. Spesso le città, come il lavoro, sono vissute come luogo di alienazione; ora ci possono mostrare il loro volto umano.
L’economia digitale ci permette di recuperare la qualità della nostra vita: farsi sfuggire questa opportunità sarebbe un’ennesima sconfitta.
Tutte queste opportunità non sono state sfruttate per un semplice motivo: il sistema non vuole cambiare. Fa finta di cambiare sfruttando tutti i vantaggi del cambiamento ma vuole mantenere lo status quo. Per questo la flessibilità è diventata precarietà, per questo la libertà è diventata paura. I lavoratori oggi continuano a venire sfruttati come ieri, anzi ancora più di ieri – perché almeno ieri avevano l’opportunità della scelta dell’alienazione – in modo sempre più iniquo e ingiusto: e questo non è colpa della politica, è colpa prima di tutto della cultura economica, dei paradigmi, cioè delle credenze in cui siamo immersi. È colpa – e responsabilità – di chi detiene il comando delle dinamiche: la cultura dominante nel mondo della finanza e del mondo delle imprese. È la testa degli imprenditori che va cambiata prima di tutto, e se cambiasse quella, il mondo diventerebbe velocemente migliore. Il senso del cambiamento può essere indicato in una sola parola: distribuzione.
Il denaro deve essere distribuito perché la ricchezza è sempre l’effetto di una co-creazione, di un processo virtuoso.
Da quando dico queste cose, da almeno quindici anni, mi hanno dato prima dell’utopista, poi del filosofo che vive sulle nuvole, poi del pazzo. Adesso che sto mostrando come un’azienda – e la mia come tante altre – può concretamente creare processi virtuosi reali di distribuzione delle ricchezze (verso i nostri dipendenti, in primo luogo, ma anche verso i nostri clienti – i prezzi così bassi che proponiamo sono motivati dalla precisa scelta, anzi mi permetto di dire, dal bisogno, che tutti possano accedere ai contenuti di crescita personale per migliorare la propria vita, e verso il territorio in cui viviamo), adesso… mi ignorano. Fingono che non esista. Preferiscono o far finta che tutto sia sempre uguale o dare la colpa al mondo che è tutto sbagliato. Siamo alle solite: o i buoni o i cattivi. Noi “varianti”, che cerchiamo di cambiare le cose con la nostra azione, nel mondo in cui viviamo e con le opportunità che Dio ci offre, grandi o piccole che siano, non rientriamo negli schemi rodati, e per questo motivo o cercano di espellerci dal sistema o di neutralizzarci. Dico questo non per fare la vittima (al contrario!) ma per invitarti a ignorare le cassandre della catastrofe allo stesso modo dei bulli dello status quo: se ti senti anche tu una “variante”, ricordati che il singolo influenza sempre sul sistema (perlomeno sul suo!), e ogni azione di cambiamento costruttiva necessariamente determina effetti costruttivi sull’intero sistema. Che si tratti di aprire un bar o di candidarsi alle elezioni per diventare presidente degli Stati Uniti, il principio non cambia: solo le azioni dell’individuo cambiano i sistemi.
E io come “variante” continuerò senza sosta in questa mia missione, che è anche la mia visione, la visione di un mondo più giusto in cui tutte le persone possano essere felici e possano esprimere il meglio di sé. La visione di un nuovo modello economico-sociale basato sull’eguaglianza delle opportunità di partenza e sulla differenza delle unicità degli individui, sulla libertà illimitata di ogni individuo di raggiungere le più alte vette di ricchezza materiale, mentale e spirituale e sul diritto di ogni individuo di veder equamente distribuite le risorse create dal lavoro. Non può esistere un’economia virtuosa se il denaro non circola, non può esistere una società libera e sicura se il denaro non è distribuito in modo equilibrato. Il denaro è fatto per circolare. Non può esistere un’economia basata sull’avidità e l’avarizia. Questo non solo è immorale, è innaturale. La natura è vita e abbondanza, l’economia deve essere necessariamente vita e abbondanza.
Io credo che questo nuovo modello sia reale e che sia il prossimo modello economico, un modello molto migliore di quello di adesso. Esso potrà affermarsi definitivamente (ora si sta affermando pionieristicamente) quando riuscirà a svincolarsi dalla “vecchia economia”: così ci farà ritrovare anche l’equilibrio ecologico, non solo ambientale, ma anche mentale.
Non solo il nuovo modello cessa infatti di bruciare risorse limitate, relazionandosi all’ambiente in maniera sostenibile, ma facendoci recuperare il nostro tempo e il nostro spazio, ci permette di non sprecare la nostra vita. L’ecologia nasce nella nostra mente, dal nuovo modello economico e politico che si è affacciato sulla nostra realtà. La tecnologia stessa ci permette di farlo. La scommessa a questo punto è se la nuova economia riuscirà a slegarsi dalla vecchia economia, e se noi saremo pronti a essere responsabili della nostra vita.