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Sono indeciso se intitolare questo post I sogni fanno la felicità oppure I sogni giustificano i soldi.
Premetto che non si tratta di un conflitto tra sogni e soldi, si tratta di sistemare al meglio i sogni e i soldi perché in questa società così materialista e, a volte, cinicamente ingenua, i soldi si confondono con i sogni. Pensiamo ai sogni e in realtà pensiamo ai soldi, lo facciamo anche in buona fede. Sostituiamo i soldi ai sogni e i sogni ai soldi.
Per questo vorrei trovare un punto di congiunzione o, per meglio dire, una gerarchia definita.
Per precisare al meglio la distinzione tra sogni e soldi, li incarnerò in due figure esemplari. La prima, che rappresenta i soldi, è Elizabeth Holmes. La seconda, che rappresenta i sogni, è Don Rosa.
I soldi: Elizabeth Holmes
Elizabeth Holmes è stata definita “la Steve Jobs al femminile” ma è probabilmente la più grande truffatrice seriale del secolo.
Puoi leggere la sua storia da un articolo di Massimo Gaggi tratto dal Corriere della Seradel 17 giugno 2018:
Da geniale e osannata creatrice di una start-up basata su una tecnologia innovativa ma segretissima, capace di rivoluzionare il modo di analizzare il sangue, a truffatrice destinata a finire in carcere dove potrebbe restare addirittura per vent’anni: la parabola di Elizabeth Holmes, che ancora nel 2015 veniva dipinta dalla stampa Usa come la versione femminile di Steve Jobs, si è chiusa ieri con l’incriminazione penale per lei, padrona e amministratrice della Theranos, e per il suo presidente, Ramesh Balwani.
Grazie allo straordinario successo (a suo tempo celebrato anche dal sottoscritto sulCorriere) di una tecnologia che consentiva di fare tutti i test in fretta e a basso costo con una sola goccia di sangue, la Holmes era riuscita a mettere in piedi un’azienda di enorme valore (9 miliardi di dollari nel momento migliore). In Theranos, nel cui consiglio d’amministrazione sedevano personaggi celebri e autorevoli come Henry Kissinger, George Schultz (un altro ex Segretario di Stato) e l’attuale capo del Pentagono, il generale Jim Mattis, avevano investito alcuni dei più celebri miliardari del mondo: dall’editore Rupert Murdoch a Timothy Draper, al messicano Carlos Slim, passando per la famiglia Walton (proprietari di Walmart, il gigante dei supermercati) e Betsy DeVos, ministra della scuola nel governo Trump.
In realtà, quando si accorse che la sua rivoluzionaria tecnologia era un flop, Elizabeth andò avanti comunque usando metodi tradizionali, spesso semplificati per risparmiare e velocizzare i test. Li spacciò per innovativi mentre era solo roba vecchia. Per di più i suoi test erano anche imprecisi: la Holmes l’ha riconosciuto indennizzando decine di migliaia di pazienti che avevano ricevuto analisi sbagliate e accettando di pagare una forte multa per chiudere la causa civile intentata tre mesi fa contro Theranos dalla Sec, la Consob americana.
Ora arriva l’accusa della procura federale di San Francisco di aver truffato per centinaia di milioni di dollari gli investitori e anche di aver danneggiato migliaia di medici e pazienti: undici capi d’imputazione per frode che possono portare dietro le sbarre addirittura per vent’anni lei e Balwani. Una vicenda sorprendente e amara che è anche un monito per la Silicon Valley, abituata a celebrare con enfasi eccessiva l’arrivo sul mercato di ogni nuovo strumento tecnologico.
Secondo me in questa vicenda c’è qualcosa in più oltre all’inganno tecnologico. Qui c’è il fine che – sia da parte di Elizabeth Holmes sia da parte degli investitori – ha condizionato e generato la truffa: il denaro.
Senza scrupoli, solo per i soldi
Elizabeth Holmes con tutta la sua azienda non ha avuto scrupoli nel falsificare gli esami e nel dare esiti falsi ai pazienti, a persone ammalate. Allo stesso tempo tutti gli investitori che hanno capitalizzato questa azienda a un valore enorme sono stati buggerati per un unico motivo: era stato loro prospettato un guadagno abnorme per il settore che riguarda le persone malate grazie alle prospettive immediate di guadagni stratosferici.
I sogni di Elizabeth Holmes erano i soldi, il successo personale, l’affermazione, la ricchezza. I sogni degli investitori erano i soldi.
Questo, a mio parere, è il messaggio più rilevante che va oltre e trascende il singolo caso.
Casi di truffe più o meno conclamate, più o meno scoperte sono all’ordine del giorno. Nonostante il fatto che le cronache siano piene di notizie sulle truffe che avvengono da parte di sedicenti investitori, da parte di sedicenti trader che promettono di fare soldi immediati, facili e in enorme quantità, questi casi continuano. Forse hai sentito parlare del cosiddetto “schema Ponzi”. Nasce dal nome di Charles Ponzi, un immigrato italiano negli Stati Uniti che negli anni Venti fu protagonista di una truffa che coinvolse quarantamila persone.
Lo schema Ponzi
Cosa succede con lo schema Ponzi? Te lo spiego in breve.
Il promotore offre un progetto di investimenti che promette elevati guadagni sulla somma investita in tempi molto brevi. I profitti che vengono assicurati sono notevolmente superiori alla media degli investimenti tradizionali. I primi che investono iniziano a guadagnare notevolmente. Si sparge la voce e arrivano nuovi investitori. Per pagare gli interessi promessi servono sempre più investitori. I nuovi capitali con cui i nuovi investitori entrano nell’affare vanno a remunerare coloro che sono entrati per primi nel progetto. I primi investitori, ricevendo le somme promesse, grazie al passaparola e facendo vedere i risultati ottenuti, incoraggiano altri investitori. In questo modo si costruisce un sistema piramidale, che si allarga sempre di più.
Il problema è che il numero degli investitori diventa esponenziale perché tutti hanno fame di immediato guadagno. Tutto il sistema viene finanziato dai soldi degli investitori che entrano. A un certo punto iniziano fisiologicamente a diminuire le entrare, iniziano a scarseggiare le risorse economiche e di conseguenza i profitti non vengono restituiti. A questo punto gli investitori chiedono la restituzione dei soldi ma il promotore iniziale che ha dato il via al sistema non li ha. Prima accampa scuse, via via sempre meno credibili, poi rimborsa solo una parte delle richieste e alla fine il sistema collassa e la maggior parte degli investitori ha perso tutti i soldi.
Di casi simili a questo è piena la cronaca. Forse hai sentito parlare del caso Bernard Madoff e anche del cosiddetto “Madoff dei Parioli”, l’italiano Gianfranco Lande. Lande è stato arrestato nel 2011 con l’accusa di aver congegnato un sistema truffaldino identico a quello di Ponzi. Anche Madoff è stato arrestato ed è stato condannato a centocinquanta anni di carcere.
Visto che questo sistema di truffe ha cento anni, le persone che investono denaro dovrebbero sapere che l’investimento è sempre un rischio, che maggiore è il guadagno e maggiore è il rischio, dovrebbero saper evitare truffe di questo tipo.
Invece no. Casi di truffe ai danni degli investitori continuano ad accadere e a essere scoperti. Un caso risale al giugno 2018, ti riporto l’articolo del Corriere della Sera che ne parla. È a firma di Andrea Pasqualetto ed è stato pubblicato il 17 giugno 2018:
I cocci dei casi Madoff e Lande sono ancora lì, a ricordare a migliaia di persone quanto possono far male l’ingenuità e la cupidigia nelle scelte d’investimento. Ed è vivo anche il ricordo di vicende meno conosciute ma geograficamente più vicine al luogo del misfatto, “Wall street dreaming” e “Gd Consulting”, rispettivamente 10 e 53 milioni scomparsi nei primi anni Duemila dopo averli raccolti da circa 500 risparmiatori, in gran parte nordestini illusi dal guadagno facile.
Eppure, nonostante tutto, nonostante gli scandali, i drammi familiari, la disperazione e pure i suicidi, ecco spuntare un nuovo caso di finanza spericolata e popolare. Succede in Veneto e Friuli, dove migliaia di investitori hanno affidato i loro risparmi a un gruppo che nasce fra le campagne veneziane di Portogruaro per ramificarsi in Croazia, Slovenia, Inghilterra e Stati Uniti con il nome rassicurante di Venice Forex Investment group. Sorprendono i numeri: oltre 3 mila clienti per più di 50 milioni di capitale investito, con una media per risparmiatore superiore ai 15 mila euro e una punta solitaria di 8 milioni di un industriale veneto. Per la maggior parte si tratta di piccoli imprenditori, professionisti, agricoltori, artigiani ma anche gente di finanza e pure qualche carabiniere.
Tutti conquistati dalle promesse di un ex manager del turismo di 53 anni al più sconosciuto, Fabio Gaiatto, che si è reinventato negli ultimi anni trader di finanza. Sull’onda della disaffezione dei nordestini per il sistema bancario, Gaiatto ha proposto un prodotto chiamato Forex, compravendita di valute, rispetto al quale passava per essere un genio. Come sia finita lo sanno bene i suoi clienti, ma anche il procuratore di Pordenone Raffaele Tito e la pm Monica Carraturo che sulla vicenda hanno aperto un’inchiesta per truffa aggravata, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, appropriazione indebita e ora anche riciclaggio. Sui loro tavoli ci sono un centinaio di querele, presentate da chi non ha più rivisto le somme investite. Al momento il fascicolo vede tre indagati, Gaiatto e due suoi collaboratori, per un buco da 37 milioni di euro. “L’operatività riguarda flussi di denaro da e per la Croazia di considerevole ammontare, a cui si aggiungerebbero prelievi di denaro contante presso gli sportelli automatici della banca eseguiti con carte aziendali emesse da operatori croati”, scrivono in un’informativa gli uomini del Nucleo di Polizia economica e finanziaria di Venezia.
Come dire, il denaro era incassato da qualcuno, più che investito dal gruppo. Ma i magistrati vogliono anche capire quali siano i rapporti di Gaiatto con un personaggio legato alla camorra, Gennaro Celentano, visto più volte in sua compagnia. I beni informati dicono che fino a qualche mese fa Celentano fosse venuto al Nord per tentare di recuperare il denaro investito da altri. Ma sono solo di voci, su cui sono in corso verifiche. “Di certo c’è che l’inchiesta si sta ingigantendo. Chiediamo la collaborazione dei cittadini per ricostruire il giro dei soldi”, sollecita il procuratore.
Si tratta di una versione riveduta dello schema Ponzi: rendite altissime ai primi che si affacciano al sistema e poi collasso. “Dicevano che Gaiatto era velocissimo a comprare e vendere valute e sempre in guadagno”, racconta oggi Carlo Mazzichi, un ex ufficiale della Marina che gli aveva dato 30 mila euro e si sta ancora leccando le ferite. Aveva creduto alla chiacchiera e i primi risultati gli davano ragione: circa il 10 per cento al mese di interessi, che venivano accreditati giorno per giorno. Tutti potevano seguire quotidianamente la crescita del proprio capitale. Bastava un clic sul profilo personale del sito della società e compariva il dettaglio della propria posizione. “Ma quello era denaro virtuale, non reale”, conclude amaramente Mazzichi. […] “Io e il mio socio lavoriamo nel trading di bitcoin e volevamo diversificare il portafoglio — spiega D. M., 38 anni, uno dei due operatori in criptovalute —. Dopo i primi cinque mesi di pagamenti puntuali abbiamo deciso di versare 50 mila euro. E da allora fine, lui irreperibile, le insegne sparite. Siamo stati proprio dei polli”. […] Non si sa come evolverà l’indagine. Si sa però che ancor una volta migliaia di investitori sono rimasti incastrati. E il sogno del guadagno facile è sfumato in un clic.
(1 – CONTINUA)