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“La realtà sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale”
“Lo spettacolo è il sole che non tramonta mai sull’impero della passività umana”
(Guy Debord)
Se esiste un libro che ha anticipato e predetto il nostro tempo, questo è senza dubbio La società dello spettacolodi Guy Debord.
Scritto originariamente nel 1967, quando la macchina spettacolare delle società avanzate era ancora agli albori, e la smaterializzazione dell’economia e dell’intero sistema di vita lontana dal realizzarsi, questo saggio penetrava così profondamente nei meccanismi del suo presente da diventare un esatto ritratto del suo futuro.
Al di là dell’approccio culturale – marxista – dell’autore, e del contesto – gli anni della Rivoluzione giovanile – fortemente ideologico in cui prese forma un pensiero così presago, quel che resta oggi è la sua parte più potentemente interpretativa, che fa luce sugli aspetti più sottili di un mondo complesso come quello odierno.
Immaterialità e spettacolarizzazione
Innanzitutto, Debord vede in anticipo la “smaterializzazione” della realtà. In un mondo in cui sempre più trionfa la merce come valore di scambio, in cui non trionfa la realtà, ma il suo simulacro mediatico, lo spettacolo diventa l’avanguardia della mercificazione. “Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale. Non solo il rapporto con la merce è visibile, ma non si vede più che quello”.
Nelle società avanzate, la produzione diventa sempre più immateriale; il mondo reale si è trasformato in immagini, e le immagini sono diventate realtà. “La realtà sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale”.
In questa breve frase ci sta tutto il mondo di oggi: l’economia digitale e il capitalismo di rete, la trasformazione dell’atomo in bit, la smaterializzazione dell’economia, la fusione sempre più acuta tra economia e spettacolo.
Ma è qualcosa di più che intravede Debord: la realtà stessa viene concepita in senso immateriale, in senso spettacolare. Il consumo stesso diventa una forma di esperienza simbolica. Oggi, superata la fase dei bisogni primari, la merce non viene più acquistata per essere consumata, ma per la sua carica simbolica. Ancora meglio, la merce viene acquistata per la sua carica spettacolare, per il suo valore emozionale. La nostra vita è interamente integrata allo spettacolo. Tutto appartiene alla dimensione spettacolare, perché lo spettacolo occupa non solo la realtà economica sociale, ma anche la nostra vita interiore. Invade le nostre aspirazioni, i nostri sogni.
Insieme alla smaterializzazione dell’economia dello spettacolo, si assiste a una smaterializzazione della vita relazionale e sociale della società dello spettacolo.
Il possesso, che era il valore del passato, si trasforma nell’apparire, che è il valore di oggi, spettacolare: “Considerato secondo i suoi propri termini, lo spettacolo è l’affermazione di ogni vita umana, cioè sociale, come mera apparenza”.
La smaterializzazione (e la raffinazione) della merce in spettacolo, da oggetto a esperienza, presume anche la trasformazione del consumatore potenziale, cioè il lavoratore, in spettatore. Anche lo spettacolo diventa una forma di lavoro, perché lo spettatore che consuma immagini viene sempre legato a un profitto (così accade nell’era dell’Auditel, dove lo spettatore diventa merce di scambio con le agenzie pubblicitarie).
Il tempo dello spettacolo
Un’altra grande intuizione di Guy Debord è l’analisi del tempo del consumo spettacolare.
Né il filosofo francese potrebbe essere più chiaro: per l’economia e la società dello spettacolo il tempo diventa il più grande valore in quanto il tempo diventa tempo consumabile.
“Il tempo pseudo-ciclico consumabile, è tempo spettacolare, sia come tempo del consumo di immagini, in senso stretto, sia come immagini del consumo del tempo, in tutta la sua estensione”.
E ancora:
“È noto che il risparmio di tempo costantemente perseguito dalla società moderna – che si tratti della velocità dei trasporti o dell’uso della minestra in polvere – si traduce positivamente per la popolazione degli stati uniti nel fatto che la sola contemplazione della televisione la tiene occupata in media da 3 a 6 ore al giorno”.
L’eterno presente dello spettacolo del consumo delle immagini e delle sue illusioni di emozioni colonizza il tempo della nostra vita, lo trasforma in merce, relegandoci alla passività dell’essere spettatori, inedita categoria economica ed esistenziale del nostro tempo.
Il pessimismo di Guy Debord è quasi inevitabile. Lo spettacolo
“è il sole che non tramonta mai sull’impero della passività umana. Esso copre l’intera superficie del mondo e si bagna indefinitamente della propria gloria”.
Ma questo pessimismo può diventare oggi uno sprone a diventare attivi in questa società, a trasformare lo spettacolo della merce in creatività e spiritualità.
L'AUTORE DEL POST SIMONE BEDETTI
Simone Bedetti da oltre vent’anni è autore di numerose pubblicazioni di crescita personale e professionale. Nel 2009 ha fondato la casa editrice Area51 Publishing.
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